Diario
22 gennaio 2009
Does he remember us...?

…si minima
licet componere maximis
Alla
morte, nel 1394, dell’antipapa Clemente VII, si vide da parte dei francesi la
possibilità di porre fine allo Scisma d’Occidente, purché i cardinali fedeli al
defunto non eleggessero un successore. I messi del re di Francia arrivarono ad
Avignone quando il Conclave era già iniziato. Pensando di sapere che cosa la
lettera inviata dal sovrano contenesse, i cardinali decisero di leggerla solo a
elezione avvenuta, in quanto uno di loro, Pedro de Luna, li aveva
convinti che la loro sorte dipendeva dal diritto di elezione, che quindi non
poteva essere limitato. Ma per non essere accusati di voler continuare lo
scisma, ognuno dei cardinali firmò un atto solenne in cui giuravano che la persona designata si sarebbe dimessa, qualora la maggioranza del conclave glielo
avesse chiesto. Diciotto su ventuno
cardinali firmarono e tra essi anche il cardinale De Luna, il più solerte
sostenitore dell’unità. Chiaramente il giuramento era difficile da mantenere ed
infatti uno che era stato proposto per l’elezione rifiutò con queste parole
“Sono debole e forse non abdicherei. Non mettetemi in tentazione”. Gli stessi
dubbi non aveva invece il cardinal de Luna che affermò “Io abdicherei
facilmente come se mi togliessi il cappello”. I colleghi non aspettavano altro
e lo designarono come pontefice di “transito”. Assunto il nome di Benedetto XIII egli rassicurò i messi della seconda ambasceria francese: avrebbe fatto di
tutto per porre fine allo scisma e, qualora glielo avessero chiesto, avrebbe
abdicato con la stessa facilità con cui ci toglieva il cappello, facendo
seguire all’affermazione il gesto. Le parole di Benedetto erano pura musica per
chi le ascoltava: si era fatto eleggere solo per porre fino al “maledetto
scisma” e non lo avrebbe mai prolungato, piuttosto la sua vita l’avrebbe
trascorsa “nel deserto o in convento”. Sarebbe stato sufficiente che persone
ben aggiornate gli presentassero proposte concrete ed egli avrebbe agito per
ristabilire l’unità, la pace, l’armonia.
Parole
forse sincere: ma il potere corrompe spesso, si sa. Da papa, il cardinal De
Luna, sostituì il senso del dovere (dimettersi) con il senso del diritto (sono
stato eletto) che si accompagna ad ogni carica suprema. Il diplomatico
cardinale divenne l’irremovibile papa. Contro di lui si coalizzarono il re di
Francia e l’Università. Si tentò dapprima di suscitare le sue emozioni positive
con un appello accorato a non rimandare l’abdicazione “non di un giorno, non di
un’ora, non di un istante”, in modo da meritarsi “eterno onore, imperitura
ammirazione, un universale coro di lodi e di gloria immortale”. Rimandare di un
giorno significava rimandare di un secondo, di un terzo e così via, con l’animo
che si sarebbe indebolito, a causa degli adulatori e dei profittatori che,
fingendo amicizia, avrebbero spaventato il pontefice col timore di conseguenze
negative; fu detto saggiamente “Se siete pronto oggi, perché aspettare domani? E
se oggi non siete pronto, domani lo sarete ancor meno”. Nulla da fare. A niente
servirono le pressioni successive: Benedetto era insuperabile nell’arte della
diversione.
Per
quasi trent’anni, Benedetto XIII si rifiutò di abbandonare il titolo di
pontefice. Nonostante l’abbandono della corte di Francia, il rifiuto di
obbedienza dei cardinali francesi (che pure lo avevano eletto), l’assedio di
Avignone, l’abbandono dell’intero collegio cardinalizio (anche da parte di
quelli che egli aveva nominato), la deposizione da parte di due Concili e la
presenza contemporanea di altri tre papi, con un’ostinazione tutta spagnola (“propria
di un paese di veri muli”, come si diceva all’epoca), egli si rifiutò di
abdicare. Si ridusse a tenere la sua corte nella fortezza spagnola di Peñíscola,
dove morì nel 1423, dileggiato da gran parte del continente europeo che, per la
sua ostinazione a definirsi ancora “unico e legittimo sommo pontefice” lo appellava, facendo leva sul suo cognome, “il Papa della Luna”.
| inviato da JongleurdeDieu il 22/1/2009 alle 14:59 | |
6 novembre 2008
Does he remember us...?

Voce dal sen fuggita/poi richiamar non
vale/non si trattien lo strale/quando dall’arco uscì
"Essere
imbecille è più complesso. È un comportamento sociale. L'imbecille è quello che
parla sempre fuori del bicchiere." "In che senso?" "Così."
Puntò l'indice a picco fuori del suo bicchiere, indicando il banco. "Lui
vuole parlare di quello che c'è nel bicchiere, ma com'è come non è, parla
fuori. Se vuole, in termini comuni, è quello che fa la gaffe, che domanda come
sta la sua bella signora al tipo che è stato appena abbandonato dalla moglie.
Rendo l'idea?""Rende. Ne conosco." "L'imbecille è molto
richiesto, specie nelle occasioni mondane. Mette tutti in imbarazzo, ma poi
offre occasioni di commento. Nella sua forma positiva, diventa diplomatico.
Parla fuori del bicchiere quando la gaffe l'hanno fatta gli altri, fa deviare i
discorsi. Ma non ci interessa, non è mai creativo, lavora di riporto, quindi
non viene a offrire manoscritti nelle case editrici. L'imbecille non dice che
il gatto abbaia, parla del gatto quando gli altri parlano del cane. Sbaglia le regole
di conversazione e quando sbaglia bene è sublime. Credo che sia una razza in
via di estinzione, è un portatore di virtù eminentemente borghesi. Ci vuole un
salotto Verdurin, o addirittura casa Guermantes. Leggete ancora queste cose voi
studenti?" "Io sì." "L'imbecille è Gioacchino Murat che
passa in rassegna i suoi ufficiali e ne vede uno, decoratissimo, della
Martinica. `Vous étes nègre?' gli domanda. E quello: `Oui mon général!' E Murat:
`Bravo, bravo, continuez!' E via. Mi segue?[…] (U. Eco, Il pendolo di Foucault)
| inviato da JongleurdeDieu il 6/11/2008 alle 20:55 | |
27 ottobre 2008
The devil's alternative...

Gianniniana...
Corsi e ricorsi più (o meno) storici: a volte, per non dire spesso, il qualunquismo si presenta con fortissime venature e pesanti tracce di
realismo... e viceversa...
| inviato da JongleurdeDieu il 27/10/2008 alle 13:6 | |
4 ottobre 2008
Do they remember us...?

Export
of democracy
INT. HOUSE CHAMBER – DAY Tommy goes to a console on the rear
of a seat. A blue light says OPEN. Tommy inserts a card (it looks like an
electronic hotel key). Red, green, and amber lights at buttons labeled NAY,
YEA, and PRES. Tommy shrugs, pushes NAY.
INT. LOBBY OUTSIDE HOUSE CHAMBER – DAY As Tommy heads away, he passes
a class trip - a dozen fifth-graders and their TEACHER, who hails him.
TEACHER: Excuse me --
Congressman? Do you have a moment? We're from the Hawthorne Avenue School, in
Union, New Jersey? I'm Mrs. Kozlowski. Social Studies. We were just learning
how a bill becomes a law.(indicating the BELLS) Was that a vote?
TOMMY: Yes, it was.
TEACHER: And what
did you vote?
TOMMY: I voted
"Nay." It's a terrible bill. It'd destroy the fabric of American
life.
TEACHER: And what was
the vote on?
Tommy hasn't a clue. He calls
out to Rafe, who is among those leaving the chamber.
TOMMY: Hey, Rafe! Tell these kids
what that vote was about.
TOMMY (CONT'D) (to kids): Guy's got a real knack for xplaining things.
RAFE: Well, it was a motion to
reconsider the motion to reconsider. Be, passing by, intervenes.
BO: No, it was the rule on
amending the reauthorization.
TOMMY: Which means?
BO: Clean Air.
RAFE (overlapping): School lunches.
TOMMY: You're in excellent hands,
kids.(M. Kaplan, The Distinguished Gentleman).
Le nostre importazioni dagli USA sono
sempre lacunose e solo per quanto riguarda il lato peggiore: trasferiamo il
Valentine’s Day, ma solo nel senso commerciale e senza l’ingenuità che ancora
oggi lì caratterizza questa festa; ci diamo pensiero di Halloween ma senza quel
sostrato di fede cristiana e festa panica che ne è alla base; alcuni
addirittura stanno approcciando il Thanksgiving Day, che già mitologico negli
USA, qui diventa paccottiglia; assumiamo Santa Claus ed il tacchino al posto di
Gesù Bambino e del cappone. Ma quello che più diverte è il tentativo di “importarne”
la democrazia. Della quale in questi ultimi tempi si assume solo quello che nel
brano è evidente: il Parlamento diventato un “votificio” o, meglio, un
“pulsantificio” (magari con virtuosismi “pianistici”); dimenticando però
l’altra metà del sistema. Quei congressmen, al di là di necessità lobbystiche
pluricentenarie, si occupano di chi li ha votati, di quelli che conoscono la
loro faccia e ne hanno sentiti gli argomenti e ne valuteranno l’operato, non
tanto in senso generale, quanto nell’essere stati i loro effettivi
“rappresentanti”. Non sono semplici nomi inseriti in una lista “as is”,
senza identità personale ma in funzione del “partito”, ma donne e uomini cui
chiedere conto e, magari anche “punire” non votandoli; e questo non per aver
disobbedito agli ordini del “capo” o del “partito”, ma per essere venuti a meno
a quello che è un rapporto di lealtà. La lealtà tra chi elegge e chi è eletto.
| inviato da JongleurdeDieu il 4/10/2008 alle 17:12 | |
29 settembre 2008
Does he remember us...?

La politique
est l'ensemble des procédés par lesquels des hommes sans prévoyance mènent des hommes
sans mémoire.
[…]
Il lavoro non cessava, la città trasformavasi, le lodi del principino salivano
al cielo. Qualcuno, timidamente, faceva osservare che tutte quelle cose stavano
benissimo; ma, e i quattrini? Ce n'erano abbastanza?... Consalvo rispondeva che
il bilancio d'una città in via di continuo progresso «presentava tale
elasticità» da permettere nonché quelle, ma spese anche maggiori. La popolarità
essendo tutta sua, egli faceva degli assessori ciò che voleva[…] E di quel che riusciva
bene egli aveva tutto il merito; di quel che non otteneva l'approvazione del
popolo rigettava la colpa sulle spalle della Giunta.
Così
egli si teneva bene con tutti, raccoglieva lodi da ogni parte. Quelli che
s'accorgevano del suo giuoco e lo denunziavano, o non erano creduti, o erano
sospettati d'invidia o di malignità.[…] Spesso,
tuttavia, s'impegnavano discussioni tra lui e Giovannino, poiché quest'ultimo
osservava che col sistema di buttar via allegramente i quattrini in opere più o
meno utili le finanze del comune, già floridissime, correvano rischio di dare
un crollo. «Chi ne ha ne spende!» rispondeva Consalvo. «Après moi le déluge...»
«Dovranno far debiti, se continuerai di questo passo...» «Qualcuno li pagherà.
Mio caro, ho da farmi popolare; mi servo dei mezzi che trovo. Credi tu che
questo gregge m'apprezzi per quel che valgo? S'ha da buttargli la polvere agli
occhi!»
[…]Riconosciuta
la necessità di presto mettersi all'opera, egli affrettò una risoluzione che
aveva già presa da un pezzo: rinunziare all'ufficio di sindaco. Non solo aveva
bisogno d'essere libero, ma gli conveniva evitare un grave pericolo[…].
Infatti, la baracca cominciava a scricchiolare. Le spese pazze da lui fatte
avevano esaurito la cassa, l'ultimo bilancio s'era chiuso con un deficit
considerevole, che egli aveva potuto dissimulare a furia d'artifici; ma la
situazione non era più sostenibile; bisognava o imporre tasse o contrarre un debito,
ed egli non voleva affrontare l'impopolarità di simili provvedimenti. Afferrò
quindi il primo pretesto per battersela.[…]
[…]La
nostra patria è anche quest'isola benedetta dal sole, dov'ebbe culla il dolce
stil novo e donde partirono le più gloriose iniziative (Nuovi applausi).
La nostra patria è finalmente questa cara e bella città dove noi tutti formiamo
come una sola famiglia (Acclamazioni). Dicesi che i deputati
rappresentino la nazione e non i singoli collegi. Ma in che consistono
gl'interessi nazionali se non nella somma degli interessi locali? (Benissimo,
applausi.) Io, quindi, se volgerò la mente allo studio dei grandi problemi
della politica generale, credo di potervi promettere che avrò a cuore come i
miei propri gli affari più specialmente riguardanti la Sicilia, questo
collegio, la mia città natale e tutti i singoli miei concittadini (Grande
acclamazione).[…]
[…]«Tutti
si lagnano della corruzione presente e negano fiducia al sistema elettorale,
perché i voti si comprano. Ma sa Vostra Eccellenza che cosa narra Svetonio, celebre
scrittore dell'antichità? Narra che Augusto, nei giorni dei comizi, distribuiva
mille sesterzi a testa alle tribù di cui faceva parte, perché non prendessero
nulla dai candidati!...» (F. De Roberto, I
Viceré)
Consalvo
di Uzeda, ultimo discendente di una nobile famiglia del catanese, decide,
essendo cambiati i tempi, di dedicarsi alla vita politica. Dapprima si fa nominare,
tramite intrighi e finzioni “democratiche” alla carica di sindaco di Catania.
Ma è solo una tappa del cammino fattogli intravedere, a Roma, da un
politicante, il Mazzarini, cammino che deve condurlo verso alti incarichi di
governo; decide quindi di partecipare alla battaglia elettorale per le elezioni
alla Camera. Si dimette da sindaco prima che la città debba dichiarare
fallimento a causa della sua disastrosa amministrazione e, tramite numerosi
accordi, vellicando i desideri autonomisti da un lato, creandosi un alone di esponente
della sinistra moderata e progressista dall’altro (non dimenticando di
corteggiare anche il potente clero locale), riesce ad essere il primo eletto
del suo collegio.
| inviato da JongleurdeDieu il 29/9/2008 alle 13:59 | |
12 settembre 2008
Politique politicienne...

Liberalismo all’italiana
Tutti a citare Voltaire, Locke, Montesqueu, i federalisti
americani, Dahrendorf, Von Hayek, Einaudi, Friedman e i Chicago Boys fino ad
Amartya Sen. Ma con l’idea che abbiano trovati i nomi in qualche dizionario di
politica o in un libro di citazioni, o nella Rassegna Stampa del mattino.
Alla fine si scopre che non hanno neppure letto bignami che
potessero metterli in grado di svolgere il loro incarico, incarico che sembra
da loro ottenuto come la bibbia che ottiene Tom Sawyer al catechismo: “[…]each blue ticket was pay for two verses of
the recitation. Ten blue tickets equalled a red one, and could be
exchanged for it; ten red tickets equalled a yellow one; for ten yellow tickets
the superintendent gave a very plainly bound Bible (worth forty cents in those
easy times) to the pupil. […]Then
Tom traded a couple of white alleys for three red tickets, and some small
trifle or other for a couple of blue ones. He waylaid other boys as they came,
and went on buying tickets of various colors ten or fifteen minutes longer”.
Tutti Volteriani a parole: citando sempre quelle che Voltaire
non aveva mai pronunciato; in realtà spesso applicando, o pensando quelle altre:
“Il y a une autre canaille à laquelle on sacrifie
tout, et cette canaille est le peuple”.Il
famoso “popolo sovrano”, regnante senza dubbio ma come il “re travicello” di
favolistica memoria.
| inviato da JongleurdeDieu il 12/9/2008 alle 15:15 | |
8 settembre 2008
Come eravamo....?

Vecchi e Nuovi
Nemici
Andai anch’io davanti alla finestra
della baracca 6 a vedere la commissione assistenziale inviata dal governo
repubblicano.
La commissione assistenziale italiana
era un tenente catanese e un sottufficiale tedesco, e l’esigua cameretta
rigurgitava di gente. Molti domandavano informazioni e a costoro il tenente
rispondeva allargando le braccia e scuotendo il capo.
Un ufficiale mutilato del braccio destro
chiese se fosse possibile avere qualche piccola agevolazione nel trattamento:
ma ciò non rientrava nell’ambito della commissione assistenziale. La quale,
naturalmente, non poteva neppure prendere in considerazione i vari casi di tbc
e di deperimento organico, in quanto si occupava dell’assistenza più urgente:
quella morale. E difatti, ogni volta che uno – dopo aver congiurato un po’
curvo sul tavolo – firmava il foglio con la famosa dichiarazione d’obbedienza
al Grande Reich, il tenente catanese si alzava in piedi e porgeva la mano al
nuovo camerata.
- Mi congratulo con voi di aver aderito
alla giovane repubblica italiana.
E il sottufficiale tedesco approvava
gravemente col capo come per significare che l’Asse gioiva intimamente dell’avvenimento.
Era la prima volta che vedevo un soldato
italiano col nuovissimo emblema repubblicano del gladio incoronato di quercia.
E sentii spaventosamente straniera quella divisa che pure era identica alla
mia.
E quel soldato, che pure apparteneva
alla mia stessa terra, sentii straniero e nemico più ancora del tedesco che gli
stava a fianco. Conversazione, Sandbostel
1944 (G. Guareschi, Ritorno alla base)
| inviato da JongleurdeDieu il 8/9/2008 alle 17:24 | |
25 marzo 2008
Ma anche...

Vignetta di Giolitti su “L’Asino”
In politica a volte è
necessaria la nettezza, a volte anche il compromesso, che certo ha un fascino
minore ma un’applicazione migliore. Occorre però vedere il compromesso, il “ma anche…”
dove portino. Sappiamo quello che c’era prima di Giolitti, sappiamo quello che
ci fu dopo: Salvemini giunse a rivedere il suo giudizio sull’uomo di Dronero,
gli storici hanno portato ad una sua grande rivalutazione. Forse anche il “ma
anche…” riceverà una sua legittimazione, più o meno postuma: basterà solo che
si palesino e i Giolitti e i Salvemini.
| inviato da JongleurdeDieu il 25/3/2008 alle 16:14 | |
12 ottobre 2007
What Women Want...(13)

Umiliata e arresa
Ma non capisci, non
capisci accidenti che quando guardi di là in quel modo muoio, muoio, muoio!
Muoio! Non puoi guardare al di là all’improvviso mentre stiamo abbracciati,
come se potesse essere passato qualcosa in mezzo, ma cosa, ma perché! E io ti
chiedo e tu non rispondi! E sai che mi stai sfaldando il cuore come una sedia
elettrica con la resistenza rotta, che va a cinque watt, e io chiedo ancora, e
tu dici niente, non c’è niente, e con quello sguardo di bisturi mi scarnifichi
l’anima e poi ti alzi e mi lasci lì nuda in una pozza di sudore e di
disperazione, e io so, sì accidenti, io so che saio cosa mi fai, ma continui,
anzi continui proprio per questo; so anche questo! E a volte l’ho persino
pensato, che tu non avessi niente davvero, ma visto l’effetto devastante dello
svuotarsi della tua pupilla, portassi avanti quello stupido gioco, gioco
idiota, gioco meschino, lo portassi avanti per la sola gioia di vedermi
soffrire e temere. Sì, perché io, accidenti, ho paura! Quella indecente indegna
indecorosa paura di perderti che mi fa sopportare tutto, anche quell’insulsaggine
delle tue distrazioni, che chi se ne frega delle tue distrazioni, chi sarai
mai! E invece noi,io ne muoio! E uno dice; be’, adesso ha fatto il suo gioco,
si è divertito, basta, no? Adesso mi abbraccia e si ride insieme e mi farà
passare il batticuore e si beve un’aranciata e si va a casa. No! Tu, dicendo
che non c’è proprio niente te ne vai! E io a dire come una stupida: aspetta un
momento! E tu ti rivesti in fretta e te ne vai come se quell’invenzione fosse
diventata verità dal momento in cui te l’hanno prospettata. E io a chiamarti per
le scale che puzzano di scaloppina, torna su un attimo, con tutti i vicini che
mi sentono e gli faccio pena, e tu, via! E l’indomani cosa fai? Mi telefoni
dicendo, amore era tutto uno scherzo? No! Non ti fai vivo! La tua segretaria
dice che sei in riunione, poi che sei uscito, e io lì a morire. Ma perché
muoio? Perché sono una stupida! Perché, non faccio forse la figura della
stupida quando tu, davanti agli amici, a tavola, mi dici brutalmente: ma cosa
vuoi saperne, è meglio che tu stia zitta? E io con la faccia rossa e bollente,
non ti tiro, no non ti tiro la zuppiera della pasta e fagioli in faccia come
dovrei,ma perché non te la tiro? E invece sto lì ad aver paura, di nuovo quella
schifosa paura, paura che tu non mi voglia più perché sono ignorante? E poi,
fossi ignorante! Ma non è vero e tu lo sai! E mi umili apposta perché non lo
sono! Dio come ti odio! E quando tutti se ne vanno starai lì ancora e farai l’amore
con me come se non mi avessi umiliato e io non capisco e tu mi baci e io vorrei
sapere il perché e tu mi stringi e io vorrei piangere per sapere e tu mi
schiacci con quel tuo peso adorato, ma perché adorato, perché? Il tuo infinito
divino caldo peso di mascalzone che io amo e ti amo, accidenti, e piango tutta
dentro da me sola perché tu non mi ascolti e solo mi fai l’amore come se non ci
fossi e quando tutto è finito e ho un po’ freddo mi guardi tutta, freddamente
da farmi gelare, e soprattutto lì dove sono un po’ grassa, sono ingrassata,
vero? Devi rispondermi di no, porca miseria! Devi rispondermi che mi ami così!
Che mi vuoi così! Che più magra e più giovane non mi vorresti! Invece no! Non
lo dici! Taci e ti volti di là come a non volermi più guardare. E io lì, con la
cellulite, a morire. E vado in bagno e mi guardo con la gola e lo stomaco pieni
di lacrime, e tu ti addormenti con la faccia compunta e supponente, e io ti
copro come un bambino buono e mi sento nascere un sorriso di tenerezza, ma
tenerezza di che? Credi che non ti abbia mai tradito? Be’, ti sbagli. Ti ho
tradito, eccome. Con un uomo giovane bello e gentile, che mi diceva che ero uno
splendore, una regina, che mi voleva sposare e mi mandava i fiori tutti i
giorni. E mentre ero con lui e lui mi adorava, mi osannava, mi coccolava,mi
metteva in bocca cioccolatini, mi scriveva bigliettini, mi baciava gli occhi,
io, io… Io pensavo a te, maledetto.(D. Kalliany, Adamo ti amo)
[Dédié à mon ami "aux
dolents yeux azurs"... suggestion….Les lettres dejétées souvent preferrent les voyous (garçons de femme légère) et elles… Mais tu n’es pas.. Réjouis-toi
et égaye-toi de tout ton cœur].
| inviato da JongleurdeDieu il 12/10/2007 alle 16:28 | |
26 settembre 2007
Animula vagula blandula...

À une lettre déjeté
E continui ad
indossar vesti
per sguardi senza
calore
continui a parlar
per orecchi
che hanno solo
occhi
danzi secondo un
ritmo sbagliato:
tutto questo perché
hai deciso
che il dolore può
essere lieve
se te lo infliggi
da sola,
e per evitar
l'abbandono
privilegi gli
sterili incontri.
La tua vita simile
a notte stellata
dipinta su un
fondale di tela.
| inviato da JongleurdeDieu il 26/9/2007 alle 7:18 | |
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